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martedì 7 giugno 2011

Strage israeliana sul Golan, ma gli Usa accusano la Siria


Anche la strage compiuta da Tel Aviv nel giorno della Naksa
è utilizzata dagli Usa nella campagna anti-Assad

Il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Yigal Palmor ha fatto sapere ieri, attraverso le pagine di Ha’aretz, che Tel Aviv protesterà presso le Nazioni Unite contro la Siria per aver strumentalizzato i manifestanti protagonisti degli scontri scoppiati domenica scorsa sulle alture del Golan in occasione delle commemorazioni della Naksa, la giornata nella quale si ricorda la sconfitta degli eserciti arabi da parte da parti di Israele. In particolare, ha spiegato il portavoce della diplomazia di Tel Aviv, la denuncia “riguarderà l’incitamento alla violenza da parte della Siria”.

Sulla questione si è espresso anche il governo degli Stati Uniti, il quale in un comunicato ha fatto sapere di essere “molto inquieto per gli avvenimenti che hanno avuto luogo sulle alture del Golan che si sono tradotti nella morte e nel ferimento di persone”. L’esecutivo Usa ha quindi lanciato un appello “a tutte le parti alla moderazione” salvo poi rivolgersi esclusivamente alle autorità di Damasco invitandole ad evitare “atti di provocazione come questi” sottolineando inoltre che “Israele, come tutti gli stati sovrani, ha il diritto di difendersi”.

Dichiarazioni che per chi conosce, anche solo a grandi linee, come sono andate le cose sembrano del tutto assurde, fuori dalla realtà. E infatti la cronaca della giornata di domenica è ben diversa da quella che il governo israeliano e quello statunitense sembrano voler descrivere con le loro affermazioni.

Proprio come avvenuto il 15 maggio scorso, giorno della commemorazione della Naqba, domenica numerosi manifestanti si sono ammassati lungo la linea di demarcazione del confine fra la Siria e Israele scandendo slogan e sventolando bandiere palestinesi. “Chiunque cercherà di attraversare il confine sarà ucciso”, gridavano nel frattempo all’indirizzo dei dimostranti i militari con la stella di Davide schierati dall’altra parte del confine. Detto fatto, i soldati dell’Idf (Israel Defense Forces) hanno aperto il fuoco contro un gruppo di persone che si era avvicinato alla recinzione tentando, apparentemente, di abbatterla. “Abbiamo sparato in aria, ma nonostante tutto diversi manifestanti siriani hanno cercato di superare la linea tra Siria e Israele. Abbiamo dovuto sparare (ad altezza d’uomo, ndr) per evitare infiltrazioni come già era successo due settimane fa”, ha candidamente dichiarato il portavoce delle forze armate di Tel Aviv, Avital Leibovitz, come se fosse normale fare fuoco su persone disarmate senza nemmeno prima aver tentato di fermarle o arrestarle.

Per Damasco il bilancio finale è di 23 vittime e oltre 200 feriti, ma ovviamente per le autorità israeliane queste cifre andrebbero perlomeno dimezzate e i responsabili ricercati in Siria.

Di fronte a tutto questo, però, la comunità internazionale anziché chiedere spiegazioni a Netanyahu e a suoi ministri per l’accaduto, si stringe al fianco d’Israele difendendo un atto atroce e che molto probabilmente con altri protagonisti avrebbe suscitato quello sdegno che una situazione del genere richiederebbe. Che cosa sarebbe successo, ad esempio, a parti invertite? Se cioè i militari di Damasco avessero ucciso anche solo due civili israeliani entrati illegalmente in territorio siriano. E pensare che le alture del Golan sono territorio siriano, annesse unilateralmente da Israele nel 1967 e che quindi ieri i soldati con la stella di Davide hanno assassinato in qualità di forze occupanti persone che si trovavano invece entro i propri legittimi confini.

La Farnesina, confermando di non sapere mai quando tacere, ha invitato le autorità siriane a far rispettare la risoluzione 350 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in particolare per quel che concerne l’obbligo, a loro carico, di fare rispettare la zona di separazione con Israele. Peccato che lo stesso portavoce del ministero degli Esteri italiano, Maurizio Massari, nel fare questa sontuosa affermazione si sia dimenticato (volutamente?) dell’esistenza di una risoluzione successiva: la 497 del 1981, con la quale il massimo organo dell’Onu dichiara nulla l’annessione israeliana delle alture del Golan siriano.

Va poi rilevato un altro aspetto dell’intera vicenda, quello che vede Tel Aviv essere giustificata in ogni sua azione, in base a ciò che la Casa Bianca ha più volte definito “il diritto all’autodifesa proprio di ogni Stato sovrano”. Il particolare che fa in modo che tale diritto sia applicabile secondo la discrezione degli Usa e dei suoi alleati è quello che riguarda la definizione che questi danno di “Stato sovrano”. In sostanza i palestinesi, che si tratti dell’Anp o di Hamas, non possono difendere i propri confini poiché non godono dello status adatto. Status invece concesso a Israele, nonostante si sia appropriato del territorio altrui, e che gli permette di fare liberamente strage di civili e non solo in occasioni particolari come quella di domenica scorsa. Basta ricordare le incursioni quotidiane nella Striscia di Gaza e la repressione delle manifestazioni che ogni venerdì si volgono nei villaggi palestinesi di confine come Bilin, queste ultime in particolare secondo le autorità israeliane rappresenterebbero un pericolo per la sicurezza nazionale. L’intero discorso è applicabile all’attuale situazione di Damasco, il cui governo è stato di fatto delegittimato dalla comunità internazionale, la quale può quindi prendersi la libertà di sanzionarlo per le stesse presunte colpe per le quali invece da anni assolve Tel Aviv.

di: Matteo Bernabei

m.bernabei@rinascita.eu
Tratto da: Rinascita

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