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giovedì 11 agosto 2011

Londra come Damasco, ma non per la comunità internazionale


Le manifestazioni sono iniziate soltanto sabato scorso e le forze dell’ordine hanno già messo in manette oltre 1200 persone. Un giovane è addirittura morto in seguito a una ferita di arma da fuoco provocatagli da un agente che non ha esitato ad aprire il fuoco contro la folla, mentre restano avvolte nel mistero le modalità e le reali motivazioni dell’uccisione di altri tre cittadini asiatici investiti da un ignoto durante i disordini mentre, presumibilmente, tentavano di difendere le proprie abitazioni dall’assalto dei rivoltosi. E nella scorsa notte il governo ha deciso di blindare la capitale dispiegando sul territorio cittadino circa 16mila agenti, adducendo la scusa di dover proteggere la popolazione. “La controffensiva è in corso, decideremo qualsiasi azione necessaria per riportare ordine nelle nostre strade. Non consentiremo che vinca la cultura della paura”, ha dichiarato il premier. No, non si tratta dell’ennesima cronaca dello scoppio di una nuova rivolta in qualche città siriana contro il presidente Bashar al Assad e il suo esecutivo che tanto piacciono agli anonimi della rete e alla stampa “embedded”, ma di quanto è accaduto negli ultimi cinque giorni in Inghilterra. La capitale in questione è dunque Londra e non Damasco e il primo ministro che ha deciso di sposare la linea dura contro chi manifesta non è il contestato Adel Safar, ma il puro e nobile David Cameron, cioè colui che solo una settimana fa si era detto pronto ad appoggiare un intervento armato in Siria per assecondare le aspirazioni democratiche della popolazione in rivolta.

Due situazioni molto simili che però sono state “accolte” dalla comunità internazionale in modo del tutto diverso. Quando ieri, ad esempio, il capo di Stato del Paese arabo ha annunciato l’impossibilità di rinunciare all’utilizzo delle forze armate per proteggere i cittadini, grida di sdegno si sono alzate dalle principali capitali del Nuovo e del Vecchio Continente nei confronti di quella che sembrava, almeno agli occhi dei falsi benpensanti occidentali, una dichiarazione di guerra di un presidente a parte della propria popolazione. Silenzio o addirittura dichiarazioni di solidarietà hanno invece accompagnato le stesse medesime dichiarazioni rilasciate dal premier britannico. Allo stesso modo quando Cameron ha affermato che i giovani scesi in strada “non rappresentano la maggioranza dei giovani ma sono sacche della nostra società che non sono solo disgregate, ma malate”, molti leader europei hanno sottoscritto queste dichiarazioni. Quando invece l’esecutivo di Damasco ha diffuso foto e video dimostrando come fra i manifestanti anti-governativi vi fossero gruppi di islamici estremisti armati e pericolosi che dovevano essere fermati, la comunità internazionale ha parlato di manipolazione delle informazioni da parte delle autorità del Paese arabo e le ha punite approvando sanzioni politiche ed economiche. E il tutto insinuando che i milioni di cittadini scesi in strada a più riprese a Damasco e nelle altre grandi città della Siria, per manifestare la propria solidarietà e il proprio sostegno al presidente al Assad, erano state in realtà pagate e minacciate dalle autorità.

Una situazione che dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, come quella in atto contro la Siria sia una campagna montata ad arte per mettere fine all’indipendenza di un Paese che nel vicino Oriente aveva osato rifiutare di piegarsi al giogo di Washington e dei suoi alleati. Accade così che la sempre crescente richiesta di armi da parte della popolazione siriana, anziché essere letta come un segnale di allarme della sempre maggiore presenza di bande armate per le strade, venga letta dalla comunità internazionale occidentale come il crescente bisogno della popolazione di difendersi dal regime. Chissà cosa penserebbe Cameron se i suoi cittadini iniziassero a saccheggiare le armerie di Londra, Manchester e Liverpool, visto e considerato che ha guarda caso appena ammesso di avere “un grosso problema con le gang in Inghilterra”.

Ma le bugie hanno spesso le gambe corte e pian piano la verità sta venendo a galla anche in Siria. Dopo la smentita del rapimento della blogger lesbica Amina, anche la falsa storia dei neonati prematuri uccisi dall’esercito di Damasco a causa dell’interruzione della corrente in un ospedale di Hama è stata smentita. La foto diffusa in rete dai soliti anonimi sedicenti attivisti per i diritti umani, dove si vedevano otto corpicini senza vita ammassati uno accanto all’atro, era stata pubblicata in realtà il 6 e il 7 aprile scorsi da un quotidiano online egiziano, l’al Badil, che denunciava la mancanza di strutture in una clinica di Alessandria.

Così come è stata smentita anche la notizia della morte dell’ex ministro della Difesa rimosso da al Assad per motivi di salute. Già pochi istanti dopo la notizia del ritrovamento del corpo senza vita dell’uomo, sulla rete si rincorrevano voci riguardo a un suo assassinio dovuto ai suoi ripetuti rifiuti di appoggiare l’utilizzo dell’esercito contro la popolazione. Quello che fino a poco tempo prima veniva indicato dagli stessi dissidenti come uno degli aguzzini “di regime” era stato così trasformato ad arte in un nuovo simbolo della rivolta popolare. Purtroppo per loro, l’uomo non era affatto morto e ieri è tornato in televisione per dimostrarlo, affermando inoltre che le voci riguardo le sue critiche verso il governo sono solo “il frutto di una campagna di bugie”. “Questa storia - ha aggiunto - è completamente falsa e vuole danneggiare la sovranità siriana e il suo esercito nazionale, al quale rimango fedele”. La farsa messa in scena dagli Usa e dai suoi alleati inizia a mostrare, dunque, le sue prime significative crepe. Inoltre, di fronte al rischio concreto di pagare di tasca propria la campagna di espansione nordamericana nel Vicino Oriente, persino l’Unione europea sembra titubare. Le nuove sanzioni economiche proposte da alcuni Paesi del Vecchio Continente, quelle cioè che prevedono il boicottaggio del gas e del petrolio siriano, andrebbero infatti a colpire direttamente le casse di molti Stati europei, che sarebbero quindi costretti a rifornirsi altrove. La discussione iniziata ieri a Bruxelles fra i rappresentanti dei 27 è stata quindi rinviata a settembre nella speranza che per allora riescano a trovare un accordo...con gli Stati Uniti.

di Matteo Bernabei

Tratto da: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=9984

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