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mercoledì 30 maggio 2012

La lunga marcia di logoramento dell’Italia

" ... Proprio in questi giorni è stato celebrato l’anniversario della strage di Capaci tra altisonanti discorsi da parte dei più autorevoli esponenti istituzionali. Sarebbe stato interessante se qualcuno avesse osato tirare in ballo le dichiarazione rese dall’ex ministro dell’interno Vincenzo Scotti nel corso di un’intervista resa al quotidiano romano “Il Tempo” il 6 dicembre 1996. In quell’intervista, Scotti spiegò che nel febbraio 1992 i servizi segreti e il capo della polizia Vincenzo Parisi avevano redatto e fatto pervenire sulla sua scrivania un rapporto in cui erano sommariamente elencate e descritte le modalità di un imminente piano di destabilizzazione politico, sociale ed economico dell’Italia, orchestrato da svariate potenze internazionali in combutta con alcune potenti lobby finanziarie. Il piano in questione, secondo quanto affermato da Scotti, comprendeva attentati di varia natura atti a distorcere la percezione di sicurezza nazionale in seno alla società, in modo da creare un clima di instabilità che spianasse la strada agli attacchi finanziari diretti contro il patrimonio industriale e bancario di stato. Non ricorda qualcosa? "

Dietro le forti pressioni esercitate dalla Commissione Europea e dagli organismi dell’Antitrust sia europeo che italiano, l’ENI si accinge a cedere la propria quota di controllo (51%) della Snam. Le ragioni che stanno alla base dello scorporo discendono tutte dal mantra liberista venerato acriticamente dalle istituzioni europee, secondo il quale sottraendo la distribuzione all’azienda si attiverebbe un circolo virtuoso di “sana” concorrenza che garantisca a tutti gli operatori del settore le pari condizioni di accesso che il controllo della Snam da parte dell’ENI avrebbe compromesso. Le compagnie statunitensi, francesi e britanniche avevano caldeggiato con forza questa svolta, in virtù del fatto che dal loro punto di vista lo scorporo della Snam comporta un netto indebolimento dell’ENI.
L’hedge fund statunitense Knight Winke, che controllava una quota ridotta del pacchetto azionario dell’ENI, aveva invece svolto un lavoro “interno” all’azienda, intraprendendo un’opera di convincimento nei confronti dell’azionariato incardinata sul concetto che vendendo la Snam, l’Ente Nazionale Idrocarburi avrebbe incamerato ricchi proventi che avrebbero a loro volta reso possibile l’allargamento del raggio operativo della società. Quando l’Amministratore Delegato di questo hedge fund è volato in Italia per partecipare alla presentazione del bilancio 2011, egli ha sottolineato che la fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia è subordinata all’implementazione dei piani di privatizzazione delle ultime aziende su cui lo Stato è ancora in grado di esercitare un controllo effettivo, più che nei confronti del debito pubblico.
Il parossismo generale nei riguardi del debito pubblico – che, lungi dall’essere il fulcro del problema come vorrebbe qualcuno, costituisce invece la vera cartina tornasole capace di misurare grado di deterioramento delle altre attività economiche nazionali – non è altro che uno specchietto per le allodole, utile per giustificare lo smantellamento totale e definitivo dell’industria strategica italiana in nome dell’imperativo categorico di “far cassa”.

Per questa ragione il nuovo piano strategico elaborato da Finmeccanica ha suscitato l’approvazione di Morgan Stanley, che ha alzato il rating sulla società romana poche ore dopo che l’Amministratore Delegato Giuseppe Orsi ebbe esternato pubblicamente l’intenzione di “alleggerire” la holding attraverso la dismissione di alcune aziende “meno produttive”.
Parlare, inoltre, di concorrenza in un sistema estremamente corporativo ed oligopolistico come quello dell’energia appare quanto meno fuorviante, dal momento che i prezzi di petrolio e gas vengono stabiliti arbitrariamente da un cartello composto da un pugno di società petrolifere e da un numero altrettanto esiguo di istituzioni finanziarie che speculano sui rialzi. Alla luce di tutto ciò, giustificare l’indebolimento dell’ENI in nome della concorrenza tirando persino in ballo i minori costi che gli utenti si ritroverebbero ad affrontare appare analogo alla crociata guidata dall’attuale esecutivo “tecnico”, che intendeva provocare una diminuzione dei prezzi della benzina liberalizzando le pompe di distribuzione senza prendere in minima considerazione il ruolo di quelle che Enrico Mattei definiva “sette sorelle”. Il che la dice lunga sulla presunta risolutezza del governo Monti, che “non guarda in faccia nessuno”.
L’ultimo tassello da inserire in questo desolante mosaico è costituito dalla nomina ad advisor (consigliere), con compiti di valutazione delle modalità di vendita della Snam, di Goldman Sachs da parte della Cassa di Depositi e Prestiti presieduta da Franco Bassanini, che nel 1992 era salito a bordo del Panfilo Britannia in compagnia di una nutrita schiera di alti esponenti della politica e dell’economia italiana (Ciampi, Draghi, Costamagna, ecc.).

Sull’onda di Tangentopoli si insediò il governo tecnico presieduto da Giuliano Amato, il quale si affrettò a trasformare le aziende pubbliche in Società Per Azioni mente il Fondo Monetario Internazionale segnalava la necessità di provocare una svalutazione della moneta italiana per favorire il processo di privatizzazione. Così, non appena i “tecnici” del governo Amato ebbero incaricato Goldman Sachs di supervisionare alla vendita dell’ENI, il gruppo Rothschild “prestò” il direttore Richard Katz al Quantum Fund di George Soros per imbastire la colossale manovra speculativa contro la lira, provocando una svalutazione della moneta italiana pari al 30%. Ciò consentì ai Rothschild di acquisire parte dell’ENI a un prezzo fortemente “scontato”.
Lo scorporo della Snam appare quindi come una fase avanzata della lunga marcia di logoramento di quel che rimane dell’industria strategica italiana avviata nel 1992, con Tangentopoli e con gli attentati del 1992 che costarono la vita a Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte.
Proprio in questi giorni è stato celebrato l’anniversario della strage di Capaci tra altisonanti discorsi da parte dei più autorevoli esponenti istituzionali. Sarebbe stato interessante se qualcuno avesse osato tirare in ballo le dichiarazione rese dall’ex ministro dell’interno Vincenzo Scotti nel corso di un’intervista resa al quotidiano romano “Il Tempo” il 6 dicembre 1996. In quell’intervista, Scotti spiegò che nel febbraio 1992 i servizi segreti e il capo della polizia Vincenzo Parisi avevano redatto e fatto pervenire sulla sua scrivania un rapporto in cui erano sommariamente elencate e descritte le modalità di un imminente piano di destabilizzazione politico, sociale ed economico dell’Italia, orchestrato da svariate potenze internazionali in combutta con alcune potenti lobby finanziarie. Il piano in questione, secondo quanto affermato da Scotti, comprendeva attentati di varia natura atti a distorcere la percezione di sicurezza nazionale in seno alla società, in modo da creare un clima di instabilità che spianasse la strada agli attacchi finanziari diretti contro il patrimonio industriale e bancario di stato. Non ricorda qualcosa?
di  Giacomo Gabellini
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" ... Tutte le strade portano a Washington ed è proprio qui che si decidono le sorti politiche ed industriali di molte nazioni che non rivendicano e non fanno valere le proprie prerogative nazionali.  Guardate chi sono i (ri)baldi caporioni che esultano per questo dubbio affare nel settore energetico nostrano: Franco Bassanini, membro della Fondazione Italia Usa, il quale dal 2008 è a capo della CDP e Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della medesima Cassa, nonché ex manager di JP Morgan. Se questi vi sembrano disinteressati ed innocenti perseguitori dell’interesse pubblico, in nome della concorrenza e dei vantaggi per i consumatori, allora il sole può riprendere benissimo a girare intorno alla terra, la quale ovviamente è ancora piatta come l’encefalogramma di chi ci crede. "


 
I TENTACOLI DELLA FINANZA INTERNAZIONALE SULLE IMPRESE STRATEGICHE ITALIANE

Le smancerie di Obama al nostro Presidente del Consiglio sono la mancia in spiccioli che gli Usa elargiscono all’Italia per aver eseguito gli ordini coloniali alla perfezione. Gli osservatori internazionali chiamano questa affettazione con nomi altisonanti ma l’immagine che essa rimanda alla mente è quella del biscotto tirato al cane da compagnia scodinzolante. Se a Monti è stato riconosciuto un ruolo di primo piano al G8 è soltanto perché questo evento è ormai inutile e squalificato, un summit delle chiacchiere (come lo ha definito il Generale Carlo Jean),  e di una stanca ritualità ineffettuale, fuori dalle geometrie geopolitiche dell’attuale fase storica di un mondo non più unipolare e timidamente multicentrico.
A Monti viene anche affidato il compito del mediatore tra la rigida Berlino e quel che resta della flaccida Europa, con quest’ultima davvero persuasa che i malanni comunitari abbiano origine nella foresta nera piuttosto che nella selva oscura del Nuovo Mondo, dove la nostra sovranità resta atterrita. Ma che strano intermediario questo professore affossatore al quale la divisa dell’arbitro serve solo per tenere nascosta, appena sopra la pelle, la casacca a stellette e striscette. Innalzare più in alto la bandiera europea per meglio seppellirla, ecco a cosa serve l’ostentato europeismo ex cathedra di questi illuminati spenti, pieni di sé e vuoti di spirito dei tempi. E sì, perché Monti, non può fare diversamente, essendo il prodotto di quei tentacoli finanziari atlantici che adesso rivendicano il momento della reminiscenza e della riconoscenza da parte del loro pupillo, il quale senza manine e spintarelle d’oltreoceano non sarebbe Premier e nemmeno Senatore. Così descrive il sito scandalistico Dagospia questa truce faccenda: “In qualsiasi parte del globo la politica è fatta di ideali, trame e baratti. Questi ultimi sono un ingrediente fondamentale nella logica del potere, soprattutto di quei poteri forti che non danno niente per niente e al momento buono presentano le cambiali da pagare. Tra gli ambienti che si aspettano da Monti qualche gesto concreto di buona volontà c’è sicuramente Goldman Sachs, la potente merchant bank americana nella quale il Professore ha lavorato a partire dal 2005, e che ha ingaggiato personaggi come Mario Draghi, Romano Prodi, Massimo Tononi e per ultimo il Maggiordomo di Sua Santità, Gianni Letta”. Goldman Sachs passa appunto ora dalla cassa, la Cassa Depositi e Prestiti per la precisione, al fine gestire direttamente l’acquisizione del 30% di Snam, scippata ad Eni, con evidenti scopi d’indebolimento del cane a sei zampe e con l’intento di pilotare le sue sfere di penetrazione estera, prevenendo ulteriori pericolosissimi smottamenti verso est. Qualcuno potrebbe obiettare che trattasi semplicemente di “melina” di Stato, di movimento apparente, perché in un caso come nell’altro, la proprietà resterebbe saldamente in mano pubblica.
Ma lo Stato non è un monolite, i suoi apparati, nei quali agiscono uomini e drappelli in costante conflitto tra loro, possono perseguire obiettivi non convergenti in base ad intenzioni e piani persino contrastanti, in quanto nascenti da differenti esami della realtà e delle molteplici direzioni da far imboccare alle istituzioni e al Paese. Che questa “compravendita” sia sospetta lo dimostra il fatto che la merchant bank americana svolgerà il ruolo di Advisor nell’operazione praticamente gratis, alla cifra simbolica di 1013 euro. Va bene che sono periodi di crisi ma nessuno fa mai niente per niente. Infatti, non sono i soldi che contano in questa circostanza ma l’opportunità di poter manovrare a proprio piacimento l’acquisizione, ricavandosi uno spazio di azione presente e futuro nelle più importanti aziende strategiche nostrane. Sarà un caso che tutto avvenga nell’interregno impolitico e sempre più impopolare dei tecnici che si sono fatti le ossa all’estero, soprattutto negli Usa, prima di ritornare in patria per spezzare le reni agli italiani? Monti è stato dipendente di Goldman Sachs, oltreché membro del Bilderberg e della Trilaterale, organismi “anglo-globali” poco avvicinabili dall’uomo qualunque e per nulla trasparenti che non hanno mai nascosto le proprie manie di grandezza e di dominio sull’orbe terracqueo.  Quel che importa, al di là dell’ossessione mondialista di tali gruppi, spesso più eccitati che conseguenti, è il luogo geografico dove si basano. Tutte le strade portano a Washington ed è proprio qui che si decidono le sorti politiche ed industriali di molte nazioni che non rivendicano e non fanno valere le proprie prerogative nazionali.  Guardate chi sono i (ri)baldi caporioni che esultano per questo dubbio affare nel settore energetico nostrano: Franco Bassanini, membro della Fondazione Italia Usa, il quale dal 2008 è a capo della CDP e Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della medesima Cassa, nonché ex manager di JP Morgan. Se questi vi sembrano disinteressati ed innocenti perseguitori dell’interesse pubblico, in nome della concorrenza e dei vantaggi per i consumatori, allora il sole può riprendere benissimo a girare intorno alla terra, la quale ovviamente è ancora piatta come l’encefalogramma di chi ci crede.

di Gianni Petrosillo
Tratto da: http://www.conflittiestrategie.it/2012/05/21/i-tentacoli-della-finanza-internazionale-sulle-imprese-strategiche-italiane/

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